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Nome 1925

TRATTO DA UNA STORIA VERA

Nome è una città situata sulla costa meridionale della penisola di Seward e si affaccia sul Mare di Bering oggi abitata da circa 4000 persone. La città fu fondata agli inizi del 1901 e a quei tempi era la città più popolosa dell’intera Alaska. La città afferma di possedere la padella per il setaccio dell’oro più grande del mondo. L’origine del nome “Nome” non è certa, potrebbe essere stato dato dal fondatore di Nome, il norvegese Jafet Lindeberg che, nella sua infanzia in Norvegia, passava per una valle il cui nome era Nome (in norvegese: Nomedalen). Altri sostengono che ricevette il suo nome a causa di un errore, quando un cartografo britannico copiò una annotazione fatta da un ufficiale su una carta nautica mentre era in viaggio sullo stretto di Bering il quale aveva scritto “Il nome”. Il cartografo fraintese l’annotazione come “Nome di C.”, e usò quel nome sul proprio grafico.

La città ha un clima subartico, con inverni lunghi, molto freddi e estati brevi. Tuttavia, le condizioni invernali e estive sono mitigate dalla posizione costiera della città: gli inverni sono meno severi che all’interno del territorio e viceversa, le estati sono più miti. Il mese più freddo è gennaio e mediamente la temperatura è sotto zero da fine ottobre fino a fine aprile e tra il 9 giugno e il 30 agosto c’è il periodo estivo in cui le temperature rimangono sopra lo zero. Il mese più caldo è luglio, con una media di 11 °C; le temperature raramente raggiungono i 25 °C e non rimangono mai sopra i 16 °C durante la notte.
La città è richiamata da un cortometraggio della Pixar in cui il globo di neve del pupazzo principale riporta la scritta “Nome Sweet Nome Alaska”. Lo stesso gioco di parole è ripreso in una scena de I Simpson. Inoltre è anche legata ai film Balto (1995), Il quarto tipo (2009) e Togo – Una grande amicizia (2019)

La vera storia di Balto e di Togo, i cani che salvarono Nome dalla difterite:
Tutto ha inizio i primi giorni del gennaio 1925, quando nella piccola cittadina di Nome, all’estremità meridionale dell’Alaska, il medico locale, il Dottor Curtis Welch, diagnosticò ad alcuni bambini una acuta infiammazione alle tonsille: nulla di preoccupante, quindi, guaribile in pochi giorni e con qualche sciroppo. Ma ben presto qualcosa cambiò: i piccoli malati, infatti, cominciarono a morire e sempre di più quelli che si ammalavano. La causa era un’altra, ben più grave: difterite.
Nel 1925, la cura per la difterite esisteva già e ogni ospedale degno di tal nome ne teneva ampie scorte nel suo dispensario e pure l’ospedale di Nome ne era provvisto ma negli ultimi mesi del 1924, il dottor Welch si era accorto con orrore che quei farmaci erano scaduti da qualche mese e nessuno se ne era reso conto facendo l’inventario. Prontamente, il medico aveva ordinato una nuova fornitura, sentendosi però rispondere che era troppo tardi. Nome era una cittadina così sperduta nel nord dell’Alaska da non avere neppure una stazione ferroviaria. L’unico modo per spedire merci era inviarle via nave – ma il porto di Nome restava chiuso per tutti i mesi invernali, a causa dei ghiacci che impedivano la navigazione. Il carico di farmaci avrebbe potuto arrivare non prima della primavera.
Quando scoppiò l’epidemia, la città fu messa in quarantena e il dott. Welsh inviò telegrammi disperati a tutti i villaggi circostanti richiedendo le unità di antitossina per difterite.
In brevissimo tempo il passaparola aveva già raggiunto le autorità sanitarie, che si misero subito all’opera per correre ai ripari.
Tutt’attorno a Nome vivevano popolazioni di Inuit ai quali, fra l’altro, sarebbe stato difficile imporre quarantene efficaci. Le autorità sanitarie si resero conto che, in breve tempo, una epidemia lasciata correre in modo incontrollato avrebbe potuto contagiare fino a 10.000 persone tra quelle residenti nell’area, con un tasso di mortalità spaventosamente alto.
Non si trattava solamente di salvare i bambini di Nome, si trattava di evitare un’ecatombe su larga scala quindi le autorità cercarono disperatamente un modo per far arrivare il carico di medicine a una cittadina così remota da sembrare irraggiungibile. Ed è qui che i cani e Seppala entrarono in gioco.
Chi era Leonhard Seppala? Nel 1925, Leonhard Seppala era considerato in Alaska poco meno che una semi divinità. Noi, adesso, abbiamo le corse di Formula 1 e nell’Alaska degli anni ’20, avevano le corse di velocità su slitta.
Con la sua leggendaria muta di husky, Seppala era il leader assoluto del settore. Aveva vinto una gara dopo l’altra, Re incontrastato ad ogni competizione. Abile allevatore, oltre che sportivo talentuoso, Seppala aveva selezionato negli anni una linea di super-husky che erano caratterizzati da un’incredibile velocità unita a una ancor più incredibile resistenza alla fatica.
Nel momento in cui ci si rese conto che la città di Nome aveva bisogno di farmaci, che ne aveva bisogno urgentemente e che l’unico modo per farli arrivare a destinazione era ricorrere all’unico mezzo di trasporto praticabile in quelle circostanze (cioè, la slitta) fu chiaro a tutti che in Alaska c’era un solo uomo capace di compiere la missione: Leonhard Seppala, naturalmente.
Ovviamente prima si tentò di spedire i medicinali per via aerea, ma le condizioni meteo avverse rendevano impossibile volare in sicurezza per non parlare che le eliche degli aerei si ghiacciavano a causa della temperatura di 40 gradi sotto lo zero.
Si stabilì di organizzare una prima spedizione di farmaci dall’ospedale di Seattle fino alla città di Nenana, ultima fermata della linea ferroviaria. Nenana si trovava a 1085 chilometri ad est di Nome e i medici ritenevano che il farmaco potesse resistere per non più di sei giorni in quelle condizioni di freddo estremo prima di deteriorarsi irrimediabilmente. Insomma, era una letterale corsa contro il tempo. Inizialmente, si pensò di affidare l’intero trasporto a Seppala e ai suoi super-cani.
Poi ci si rese conto che quella non era una gara di velocità che poteva essere vinta così come esser persa: far correre una muta di cani per più di 1000 chilometri sarebbe stata una pericolosa follia. Si organizzò dunque una staffetta, con musher (cioè, conducenti di cani da slitta) che si sarebbero dati il cambio ogni 50 km circa, per permettere ai cani di correre alla massima velocità per tratti relativamente brevi.

Rispetto al piano iniziale, questo ritocco era certamente ricco di buonsenso. Peccato che Seppala non ne fosse stato informato: prima ancora che fosse possibile comunicargli il cambiamento di programma, l’intrepido sportivo era già partito in direzione di Nenana ed era disperso in mezzo ai ghiacci alaskani.

Nel frattempo, mentre Seppala vagava a vuoto in mezzo ai ghiacci, era rimasta una sola persona a rispondere metaforicamente al telefono che ormai suonava a vuoto nella casa dell’atleta. Costui era Gunnar Kaasen, il giovane aiutante di Seppala, che da qualche tempo lavorava per il corridore gestendo il suo servizio di pony express. O meglio: di husky express. Infatti Seppala, oltre ad essere uno sportivo di professione, gestiva un’attività di trasporti. I cani meno promettenti – quelli che Seppala, da abile allevatore, non riteneva adatti a gareggiare – facevano il loro onesto lavoro di corrieri trasportando nel circondario piccole spedizioni. A gestire materialmente questa attività collaterale c’era per l’appunto il giovane Kaasen, al quale Seppala aveva lasciato ordini ben precisi, prima di partire: se qualcosa dovesse andare storto e le autorità dovessero chiedere il tuo aiuto, sentiti libero di utilizzare i cani che usiamo per le consegne, per quel poco che valgono. E mi raccomando: metti Fox come cane leader a guidare la muta. Le cose andarono storte, Seppala era irreperibile, le autorità richiesero l’aiuto di Kaasen. E Kaasen ubbidì alle istruzioni del suo datore di lavoro, tranne che per un punto: non mise Fox a capo della muta. Ci mise Balto.

Balto non era un cane di cui Seppala avesse particolare stima. Un bel cane, un fisico imponente, una bella muscolatura, un portamento elegante, due zampette bianche su un pelo marrone scurissimo: erano deliziosamente simili a due calzini, uno dei quali scivolato giù fino alla caviglia. Era un husky di razza purissima (non certo un mezzo lupo, come invece racconta il cartone), ma non era particolarmente veloce nella corsa e – a giudizio di Seppala – era troppo testardo per poter essere realmente affidabile in condizioni in cui anche la minima esitazione conta. Fu proprio quella testardaggine a convincere Kaseen che, invece, Balto sarebbe stato un ottimo leader per la muta. Da sempre, Balto era il cane preferito del giovanotto: c’era, fra di loro, una particolare intesa. E così, il giovane aiutante di Seppala preparò la muta e si preparò per svolgere la sua parte nella staffetta.

Seppala, intanto, vagava nei ghiacci dell’Alaska aggrappato anima e corpo alla sua muta di cani, capitanata dal cane che amava, il fedele Togo. Era il più veloce di tutti i suoi cani, il prediletto tra tutte le sue cucciolate: sulle piste, gli aveva fatto vincere così tante e così tanta gloria. Per Seppala, Togo non era solamente un cane attraverso il quale lavorare: era IL cane, il cane del cuore, quello da far accoccolare la sera, vicino alla poltrona, davanti al caminetto. Mentre Seppala vagava, fu miracolosamente intercettato da una delle staffette che, giustappunto, cominciò a urlare “FERMO! FERMO! IL SIERO È QUI!” mentre la slitta sfrecciava davanti a lui a folle velocità. L’eroe delle piste fece dietrofront, prese in consegna il prezioso carico e cominciò la più eroica e dimenticata di tutte le sue avventure. Mentre si levava una tempesta di neve, lui viaggiò imperterrito percorrendo, in poche ore, non una, non due, ma ben tre tappe della staffetta: quasi 150 km.

Soffiava un vento di tempesta a -30 gradi. Nella notte cupa, la visibilità era nulla. Seppala si rese conto di star viaggiando a velocità molto più bassa di quella che avrebbe voluto e, nella disperazione, tentò il tutto e per tutto. Arrivato nei pressi della baia di Norton, il musher calcolò che costeggiarla gli avrebbe portato via altre ore preziose: si affidò mentalmente a Dio e ordinò ai cani di tirare di dritto, facendo scivolare la slitta sulle acque ghiacciate. Per più di trenta chilometri Seppala sfrecciò su quel sottile strato di ghiaccio, nelle tenebre della notte, senza nessuna garanzia di poter arrivare indenne dall’altro lato della baia.
Ma Dio ascoltò le sue preghiere. Dopo una corsa che parve lunga un’eternità, la slitta sussultò toccando di nuovo la terra ferma. Seppala intravvide in lontananza un igloo e, stremato, ci cercò rifugio per un paio d’ore, durante le quali accese un fuoco nel tentativo disperato di scaldare non se stesso o i cani, bensì il farmaco, che si stava cristallizzando. Dopo quella breve pausa, ripartì. In quelle poche ore, se possibile, la tempesta era peggiorata ancora. Stremato, Seppala arrivò alle luci dell’alba alla piccola città di Golovin: mancavano 126 chilometri alla meta finale. Esausto, consegnò la scatola con farmaco alla staffetta che lo aspettava. Lui e i suoi cani non sarebbero riusciti a fare un passo in più.

I cani della staffetta successiva si congelarono, letteralmente, strada facendo. Due di loro riportarono gravi danni da congelamento, mentre la tempesta di neve si faceva ancor più violenta e il vento soffiava gelido a 40 nodi. Impiegarono quasi una giornata a percorrere i 40 km di distanza che li separavano dal punto in cui la staffetta successiva – Gunnar Kaasen – stava aspettando per prendere in consegna il carico.

Il sole era ormai tramontato. La tempesta infuriava senza sosta. La slitta guidata da Balto avanzava a fatica in mezzo a cumuli di neve così alti da sfiorare il busto del guidatore. La visibilità era totalmente azzerata. Il sentiero era ricoperto dalla neve. Fu esclusivamente il senso di orientamento dei cani a permettere a Kaasen di mantenere, grossomodo, la rotta stabilita. Dico “grossomodo” perché Kaasen non attraversò mai il piccolo villaggio nel quale il sindaco lo aspettava spasmodicamente. Il primo cittadino aveva ricevuto ordini ben chiari: avrebbe dovuto dire a Kaasen di fermarsi, per l’amor del cielo – troppo pericoloso portare avanti l’impresa in quelle condizioni. Il che, peraltro, era vero. Kaasen non ricevette mai il messaggio, dunque proseguì. Ma le condizioni meteo peggiorarono ancora, al punto tale che una folata di vento improvvisa fece ribaltare la sua slitta. Mentre i cani guaivano terrorizzati, il guidatore si mise a gattonare nella neve, sotto la tempesta, al buio, a mani nude, cercando a tentoni la scatola delle medicine che era stata sbalzata via dall’urto. Più morto che vivo, Kaasen arrivò alle due di notte al punto in cui avrebbe dovuto passare il carico all’ultima staffetta, quella incaricata di percorrere l’ultimo tratto verso Nome. Ma la staffetta dormiva. Di certo, non immaginava che Kaasen potesse giungere così presto e a quell’ora di notte (tanto più che, in teoria, avrebbe dovuto ricevere ordini che lo istruivano a fare il contrario). Kaasen prese un respiro profondo, decise che non c’era tempo da perdere. Non si poteva aspettare che la staffetta si svegliasse, si vestisse, preparasse i cani, li legasse alla slitta: ogni minuto era prezioso. Così, Kaasen decise di fare da sé. Sarebbe stato lui a consegnare la medicina. Per più di altre tre ore, Balto e gli altri cani lottarono contro il gelo, la neve, i cristalli di giacchio, la stanchezza e le piaghe aperte dal ghiaccio sotto le zampe. Lottarono, e vinsero. Quando Kaasen arrivò a Nome pochi minuti prima delle luci dell’alba, trovò ad attenderlo una città deserta e un comitato di accoglienza fatto da una desolante serie di imposte serrate. Nessuno lo aspettava così presto.

Percorrendo nella notte 85 km in mezzo a una tempesta violentissima, Kasen aveva compiuto l’incredibile. Ma, complessivamente, lo avevano compiuto tutti i membri della staffetta: la squadra aveva percorso 1085 km in 127 ore e mezza, viaggiando in condizioni climatiche avverse. Fu, per l’epoca, un primato mondiale. Del quale fu Kaasen a prendersi tutto il merito. Alle prime luci dell’alba, la città di Nome si svegliò con una notizia meravigliosa. Il farmaco era arrivato in perfette condizioni! I piccoli malati stavano già mostrando i primi segni di miglioramento! La quarantena sarebbe finita presto! Il pericolo di una epidemia su larga scala era scongiurato!

Giornalisti e fotografi sommersero di domande l’eroe che aveva percorso l’ultimo tratto. Una piccola troupe cinematografica che si trovava a Nome per altre ragioni domandò a Kaasen se fosse possibile ricreare la scena del suo arrivo. Il musher acconsentì e, all’ora stabilita, attraversò di corsa le vie della città trasportando sulla slitta una scatola vuota, in mezzo ad ali di folla ovante. Le fotografie scattate in quell’occasione fecero il giro dell’Alaska e degli Stati Uniti. Kaasen e Balto erano diventati gli eroi della situazione. Quando Seppala fece ritorno a Nome, scoprì con una certa incredulità che nessuno lo calcolava, come se non avesse dato, anche lui, il suo contributo.

Certo, Kaasen aveva sicuramente dei meriti, ma come ce li avevano tutti gli altri musher che avevano gestito l’intera staffetta e in particolar modo coloro i quali avevano percorso l’ultimo tratto sotto la tempesta. In virtù di ciò, era – come dire – poco carino che l’attenzione mediatica fosse totalmente incentrata su Kaasen. Con tutto il rispetto, ma il ragazzo non era l’unico a meritarsi tanti onori. Se proprio vogliamo essere pignoli, era Seppala quello che aveva affrontato il tratto più lungo del percorso. Era Seppala che aveva messo a disposizione della comunità i suoi preziosissimi cani da corsa, ivi compreso il più veloce di tutti: Togo. Ed era proprio Seppala ad essersi reso conto che, nella folle corsa notturna, il suo amatissimo Togo si era azzoppato, senza peraltro concedersi di mostrare segni di sofferenza durante la corsa. Era probabile che la tenacia nell’andare avanti nonostante il dolore avesse ulteriormente aggravato la ferita. Un cane perfettamente sano, vincitore di tutti i record, con una carriera agonistica i fronte a sé: azzoppato irrimediabilmente. Per non aver voluto mollare.

Ma allora, chi era il vero eroe della situazione?
Seppala (che, consapevole dei rischi, aveva messo a repentaglio la salute dei suoi cani da corsa e la sua stessa vita) oppure Kaasen (che aveva sicuramente rischiato, ma non aveva nemmeno “sacrificato” degli animali suoi)?
E chi era davvero l’eroe a quattro zampe che meriterebbe di essere ricordato? Balto (che, per carità, ha avuto un comportamento esemplare) o Togo (che, per salvare vite umane, aveva sacrificato se stesso senza nemmeno l’ombra di un guaito)?

Kaasen, decise l’opinione pubblica. Kaasen e Balto, senza “se” e senza “ma”.

E mentre Seppala confessava ad alcuni amici di sospettare che il ragazzo avesse progettato tutto fin dall’inizio (ricordiamoci che non avrebbe dovuto essere Kaasen a percorrere l’ultimo tratto della staffetta: fu lui a decidere di proseguire il viaggio senza svegliare chi avrebbe dovuto dargli il cambio)… ecco: mentre Seppala si amareggiava in questi pensieri, Kaasen fu contattato dall’industria cinematografica. La Sol Lesser Productions (la stessa che avrebbe firmato la celebre serie di film su Tarzan) era intenzionata a creare un cortometraggio sull’avventura di Balto.
Seppala – che era pur sempre il proprietario dei cani – malvolentieri acconsentì a metterli a disposizione, teoricamente per un periodo di dieci settimane.

E qui la storia di Balto prende una brutta piega: una piega strana e incredibile a credersi, per noi, uomini moderni, tanto amanti degli animali.

Balto e gli altri suoi compagni di impresa furono portati a Hollywood. Il che comportò un piccolo problema: le assolate estati della California non sono esattamente l’habitat più ospitale per una muta di husky, i quali – tra una ripresa e l’altra – furono costretti a interminabili parate tra le strade della città, sessioni fotografiche assieme alle star dell’epoca, incontri con i politici locali, visite alle scuole elementari del circondario.
Balto’s Race to Nome, il cortometraggio frutto di tanto lavoro, fu un successo strabiliante. Ricostruiva una versione decisamente romanzata della storia, nella quale Kaasen e Balto erano gli eroi incontrastati della situazione. Ma al pubblico interessava assai poco la verità storica dei fatti: il corto sbancò tutti i botteghini, consacrando Balto alla fama eterna.
La muta di husky, a quel punto, avrebbe finalmente potuto tornare alle sconfinate e familiari distese di neve dell’Alaska, ma invece no: una agenzia teatrale manifestò interesse per gli eroici cani e ottenne di poterli rappresentare.

Dal 1925 al 1926, Balto e i suoi compagni furono occupati in un tour per tutte le maggiori città statunitensi. Posarono per opere d’arte, si fecero fotografare con le grandi star dello spettacolo, ricevettero la cittadinanza onoraria di svariate città, visitarono innumerevoli canili quasi a rallegrare i cani meno fortunati e apparvero al fianco di Santa Claus in un parco giochi allestito a Kansas City. Quando il tour di Balto arrivò a Washington D.C., il Senato degli Stati Uniti d’America sospese le sue attività per un giorno, in modo tale da consentire a tutti i dipendenti di godere dello spettacolo. Furono bagni di folla senza precedenti, nei quali fu sommerso di lodi e di onori… …indovinate chi? Ovviamente, Kaasen.

Attorno alla fine del tour, il giovanotto si sentì far presente che, alla scadenza del contratto con l’agenzia teatrale, decenza morale avrebbe suggerito di tornare a vita privata smettendo di lucrare sulla situazione.

In fin dei conti, Kaasen era un brav’uomo: capì e fece in modo di uscire dai riflettori.
Il problema è che sotto i riflettori rimasero questi benedetti cani. Che – arrivati a questo punto della storia – non è nemmeno chiaro a chi appartenessero.
Vien da pensare che, a un certo punto, Seppala li avesse venduti: forse, a quella stessa agenzia teatrale che li aveva rappresentati.
Di certo, i cani non tornarono a Nome. In un momento imprecisato di questa storia, furono venduti a un certo Sam Houston di Los Angeles il quale li affittò a un dime museum, uno di quei “musei delle stranezze” che, all’epoca, attiravano le masse popolari a suon di freak show.

Avrebbero meritato un destino ben diverso, il povero Balto e i suoi compagni di avventura. Eppure, fu quello il destino che toccò loro: nei locali bollenti di quell’asfittico museo, i poveri husky se ne stettero per mesi chiusi in gabbie neanche troppo spaziose. Ansimavano visibilmente, il pelo non era più lucido: le bestiole non erano che l’ombra di ciò che erano state e Balto aveva anche una artrite in stato di avanzamento.

A questo punto della storia quasi un miracolo, sollecitato dalla lettera di un lettore che aveva visitato il museo di Los Angeles ed era rimasto orripilato di fronte allo spettacolo, il quotidiano Cleveland Plain Dealer organizzò una raccolta fondi per riscattare i cani. Sam Houston acconsentì a vendere i cani alla città di Cleveland per 2000 dollari (grossomodo, 20.000 dollari attuali) a patto che l’intera somma gli fosse bonificata entro una settimana. Balto si trovò così, inconsapevolmente, protagonista di una nuova gara contro il tempo. Le radio di Cleveland trasmisero appelli continui per promuovere la raccolta fondi, le istituzioni locali si mobilitarono, i quotidiani fecero titoli di prima pagina sulle linee di BALTO HA BISOGNO DI ALTRI 500 DOLLARI ENTRO STASERA.
E anche in questo caso, Balto vinse quella lotta. Alla fine della settimana, la città di Cleveland aveva raccolto e persino superato la cifra di 2000 dollari pattuita per la compravendita. Nel marzo 1927, Balto e i suoi compagni di avventura fecero il loro ingresso trionfale allo zoo di Cleveland, dove furono alloggiati con le migliori cure in un ambiente adatto ai loro bisogni. Patricia Chargot, autrice di The Adventures of Balto. The Untold Story of Alaska’ Famous Idiratod Dog, dal quale ho tratto la maggior parte delle informazioni per questo articolo, ritiene che Balto abbia costituito un unicum nella storia universale degli zoo: lui e gli altri husky che fecero l’impresa furono gli unici animali domestici ad essere mai ospitati in uno zoo (luogo che, per definizione, è dedicato a fauna di ben altro tipo). Balto morì il 14 marzo 1933, alla ragguardevole età di quattordici anni, venne imbalsamato e conservato al Museo di Storia Naturale. Togo, invece, continuò ad essere un cane da slitta, il preferito di Leonard Seppala. La corsa di Togo ebbe termine nel 1926, all’età di sedici anni: il suo padrone, che mai se ne volle separare, lo fece imbalsamare, per donarlo al piccolo Museo della Iditarod di Wasilla, dove ogni anno ha luogo la rievocazione della corsa del 1925 che ha ispirato questo tour.

Togo, il cane da corsa di Seppala, restò al fianco del suo padrone per qualche tempo ancora. Poi – essendo ormai azzoppato e impossibilitato a lavorare – fu ceduto a Elizabeth Ricker, una allevatrice di husky cara amica di Seppala. Nei verdi pascoli di Poland Spring, nel Maine, il cane-eroe visse i migliori anni della sua vita passando il suo tempo a ingravidare con dedizione tutte le husky dell’allevamento. Morì, decisamente felice, nel 1929: aveva più di sedici anni.
Pochi mesi prima, Elizabeth Ricker aveva dato alle stampe un libro intitolato Togo’s Fireside Reflections, nel quale l’anziano cane meditava sulla sua vita avventurosa e offriva perle di saggezza ai lettori. Ma, a quanto pare, la storia di Togo non finisce qui: la Disney lanciò un film dedicato proprio al nostro intrepido amico. Questo film darà, finalmente, al povero Togo la gloria che si merita?

In breve:
Nome, primi giorni del gennaio 1925. Scoppia una epidemia di difterite. Non ci sono farmaci. Via radio parete la richiesta di aiuto. Risponde l’Ospedale di Anchorage, nei cui depositi si trovavano ben 300.000 unità di siero: un pacco di quasi dieci chili, che sarebbe giunto fino a Nenana via treno, ultima stazione ferroviaria dell’Alaska. A quel punto, dovevano essere percorsi altre 600 miglia, circa mille chilometri: scartata l’idea di utilizzare il mezzo aereo a causa del rigido inverno e delle tormente, la scelta ricadde sui musher e i loro fidi cani da slitta. Viene organizzata una staffetta composta da venti mute di cani da slitta, i cui conduttori sono semplici postini, corrieri, taglialegna, gente comune, ma che si ritrovarono ad essere dei veri e propri eroi. Affrontano crepacci, lastre di ghiaccio instabili, tempeste e bufere di neve, temperature di molti gradi sotto lo zero, che in certi casi raggiungevano i -50°, con punte di -70° C. La corsa del siero, la corsa che doveva riportare la speranza e la vita a Nome, ebbe inizio tra il 27 e il 28 gennaio 1925, quando Wild Bill Shannon percorse la prima tappa, da Nenana a Tolovana: 83 km in quasi undici ore. A Tolovana, il prezioso carico venne preso in consegna da Edgar Kalland, che percorse 50 km fino a Manley e consegnò il tutto a Johnny Folger, che proseguì per ulteriori 45 km fino a Fish Lake. Nella giornata del 29 gennaio, si alternarono altre sette staffette: Sam Joseph, Titus Nikolai, Dave Korning, Dan Green, Harry Pitka, Bill McCarty e Edgar Nollner, per un totale di 313 km, fino alla cittadina di Galena. Nel frattempo, da Nome, era partita una con a capo il grande Togo, uno dei Siberian Husky più celebri in tutta l’Alaska, vincitore di numerose competizioni e corse: il musher era Leonard Seppala, ritenuto uno dei più capaci e affidabili. George Nollner, che percorse 29 km fino a Bishop Mountain consegnando l’antitossina a Charlie Evans: erano le 05.00 del mattino e il termometro segnava -64°. Dopo altri 48 km e aver raggiunto Nulato, fu la volta di Tommy Patsy che, per 58 km, percorse le piste innevate fino a Kaltag; da qui la staffetta, per 64 km, fu portata avanti da Jack Screw, fino a Statua di BaltoOld Woman. Erano passati appena quattro giorni dall’inizio della corsa e, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio, Victor Anagick percorse in sei ore 54 km, fino a Unalakleet, che raggiunse poco dopo le 03.00 del mattino. Intanto Nome era sempre più vicina, distante solo poco più di 207 miglia: fino a Shaktoolik, per 64 km, ci pensò Myles Gonangnan. La corsa, fino ad ora svoltasi senza grossi problemi, ebbe un blocco improvviso: dopo appena mezzo miglio da Shaktoolik, la muta di cani di Henry Ivanoff si scontrò contro una renna sbucata improvvisamente dalla foresta, che fece aggrovigliare i legacci e le funi della slitta e dei cani. Ma proprio quando sembrava che tutto andasse storto, sbucò dalla fitta nebbia e dalla foschia Leonard Seppala, che era riuscito ad intercettare la staffetta. Bisognerebbe a questo punto scrivere una nuova storia solo per l’incredibile corsa nella neve di Seppala e del suo cane guida Togo, che da soli percorsero l’incredibile distanza di 260 miglia, quasi 420 km. Giunse fino a Golovin, dove fu sostituito da Charlie Olson che, per 40 km, la portò fino a Bluff dove lo aspettava l’ultimo staffettista: Gunnar Kaasen, il quale avrebbe percorso l’ultimo tratto di 85 km facendo affidamento sul capo muta Balto anche se non aveva una reputazione di leader molto buona ma Balto dimostrò il suo coraggio quando si inoltrò nel ruggire della bufera e quando a un certo punto arrestò la marcia per salvare il team e il pilota dalla morte immediata nel fiume Topkok.
In sette ore e mezzo, anche se congelato, il siero raggiunse Nome, tra gli applausi della popolazione. In tutto, erano state percorse 674 miglia (1084 km), in quasi 127 ore e mezza, un record mondiale.

FONTI:
https://it.wikipedia.org/wiki/Nome_(Alaska)

https://segretidellastoria.files.wordpress.com/2014/10/gunnar-kaasen-e-balto.jpg?w=229&h=300

https://segretidellastoria.files.wordpress.com/2014/10/leonard-seppala-e-togo.jpg?w=300&h=195

https://segretidellastoria.files.wordpress.com/2014/10/balto-appena-giunto-a-nome.jpg?w=300&h=192

https://segretidellastoria.wordpress.com/2014/10/01/da-nenana-a-nome-la-corsa-del-siero/

https://it.wikipedia.org/wiki/Nome_(Alaska)

http://www.cinofili.altervista.org/la-storia-di-balto.html

La Iditarod oggi

L’Alaska è cambiata radicalmente negli anni seguenti la corsa del siero. Le comodità moderne hanno raggiunto il grande e selvaggio deserto del nord. Il freddo non limita più il traffico aereo. Telefoni e televisione garantiscono una comunicazione immediata, e la motoslitta è diventata la modalità standard di trasporto invernale. La grande epoca dei cani da slitta a poco a poco si è conclusa.
Sono in molti tuttavia a considerare le slitte trainate da cani una parte importante della storia dell’Alaska e che i gatti delle nevi e le motoslitte non saranno mai in grado di superare le grandi imprese che compiono persone e cani quando lavorano insieme. Tra questi individui c’erano Dorothy Page e Joe Redington, che nel 1973, insieme a altri volontari si sono mobilitati per riaprire la vecchia Iditarod Trail, la via postale da Anchorage a Nome che era stata usata nella storica corsa del siero. Oggi, il sentiero serve come percorso per una gara che si estende per 1.049 miglia attraverso due catene montuose, miglia di deserto ghiacciato e lungo la valle Yukon e si tiene ogni anno a marzo. L’Iditarod Trail non ricorda soltanto la storica impresa del 1925, ma riflette lo spirito dell’Alaska, degli uomini che si insediarono nel suo selvaggio territorio e dei cani la cui lealtà e resistenza ha contribuito alla conquista del Grande Nord.

Il Tour
Partendo da questa avventura che sembra finta, da quanto è reale, Marco SDG002 ha realizzato questo tour, adattandolo come meglio ha potuto, al volo simulato. Ovviamente ha dovuto attingere a tutte le informazioni esistente in rete per avere un’idea chiara del percorso da realizzare, mantenendo lo spirito avventuroso e pieno di rischi dell’impresa. Avrebbe dovuto fonderlo con le esigenze del volo VFR simulato ma ha poi ha rinunciato lasciando che l’imprevisto e l’alto rischio dell’impresa potesse rimanere il più simile alla realtà. Quindi si è limitato a ricostruire il percorso delle slitte partendo, non da Nenana, come è realmente accaduto, ma partendo da Anchorage e risalendo i percorsi fluviali ghiacciati che le slitte seguivano per facilitare il loro percorso.

Le regole del Tour
Questo tour deve essere effettuato con il C172 senza utilizzare alcuna radio assistenza, con l’ausilio di programmi tipo PlanG ma senza collegarli al simulatore e senza l’utilizzo del GPS. Come spirito, si tratta di un volo soccorso, o si arriva o si torna indietro e si ritenta in seguito. Nessun’altra regola a parte l’obbligo di partire indipendentemente dalle condimeteo. Ovviamente meteo reali, solo l’orario è consentito in diurno. Nessuno si metterà a controllare il rispetto di queste regole, siete voi piloti gli unici supervisori di voi stessi, saprete, in cuor vostro, se lodarvi dopo aver completato il tour. Provate ad immaginare che, nel momento che avete il tempo di potervi fare un volo ed avete deciso di voler fare una leg di questo tour, vi arriva la richiesta di partire per l’emergenza descritta. Quindi…. anche se non vedete una cippa lippa, DOVETE PARTIRE. Se ci sono controllori in zona, avvisateli del tipo di volo che state facendo e chiedete di poterlo rispettare. Se non riuscite ad atterrare, tornate indietro e ritentate il volo in seguito.

Balto:  C’è una statua di bronzo nel Central Park di New York. Sul basamento, ai piedi del cane, un Siberian Husky, si legge: “Dedicata all’indomabile spirito dei cani da slitta, che trasportarono sul ghiaccio accidentato, attraverso acque pericolose e tormente artiche, l’antitossina per 600 miglia da Nenana, per il sollievo della ferita Nome nell’inverno del 1925. Resistenza, Fedeltà, Intelligenza”.  Il fido animale a quattro zampe è Balto, divenuto popolare tra i più piccini nel 1995, dopo che è stato realizzato un film d’animazione per la produzione di Steven Spielberg.

  • Il TOUR: 
    01 ANCHORAGE PALH – FARRARS 28AK – Decollare e dirigersi verso la base aerea successiva (CSR) ed atterrare a prendere il medicinale, quindi ripartire e dirigere sull’aeroporto di Merrill (PAMR) da dove riparte la gara il giorno successivo. Dirigere nel golfo di Knik Arm e seguirlo fino a quando sarò possibile risalire il Matanuska River. Quindi seguire il fiume fino a Farrars.
  • 02 FARRARS 28AK – PAXSON PAXK – Dirigere sempre verso est sul Matanuska River, quando il fiume si restringe, dividendosi in due tronconi, seguire la route 108 fino a Tahneta Pass. Quindi tenersi a ESE della catena montuosa alla nostra sinistra e proseguire con rotta 020 fino al Lago Louise. Quindi proseguire per rotta 010 fino all’aeroporto di Paxson.
  • 03 PAXSON PAXK – FAIRBANKS PAFA – Seguire la route 95 verso nord attraversando le Black Rapids (63-22.6 / 145-44.0) quindi continuare a seguire il fiume fino a Delta Junction ed a questo punto seguire il Nanana River che trovate alla vostra sinistra, fino a Faibanks dove atterrerete.
  • 04 FAIRBANKS PAFA – MANLEY HOT SPRINGS PAML – Decollate e continuate a seguire il fiume Nanana verso est fino alla città di Nenana identificabile dall’NDB ICW 525 Khz e seguirlo nella sua nuova direzione verso nord fino a Manley Hot Springs.
  • 05 MANLEY HOT SPRINGS PAML – RUBY PARI – Decollare e continuare a seguire il fiume verso sud ovest. In seguito prenderà direzione Nord ovest per poi ridiscendere verso sud ovest. Atterrerete a Ruby
  • 06 RUBY PARI – KALTAG PAKV – Decollate e continuate a seguire il fiume verso Ovest e proseguire fino a Kaltag.
  • 07 KALTAG PAKV – SHAKTOOLIK PFSH – Decollare e proseguire seguendo il Kaltag River (affluente in direzione ovest). Poi, quando il Kaltag River gira verso nord proseguire per 221 fino a trovare il Unalakleet River e seguirlo fino a mare. In ogni caso fare riferimento all’NDB di Unalakleet 382 Khz. Dirigere sull’NDB quindi proseguire a discrezione del pilota, in base alle condi meteo presenti. In caso di mantenimento punti VFR, proseguire per Shaktoolik mantenendosi lungo la costa. In caso è possibile proseguire passando sul mare ma puntando al massimo verso Elim (NDB OAY 263 Khz).
  • 08 SHAKTOOLIK PFSH – NOME PAOM – Proseguire per Koyuk (NDB KKA 299 Khz) o dirigere verso Elim (NDB OAY 263 Khz). Per Koyuk puntare sull’NDB 288 Khz, quindi dirigere per Nome.

Ed ecco qui l’award del tour