Corso Volo Metereologia La classificazione dei venti
I sistemi di classificazione dei venti si basano principalmente sulle loro caratteristiche di deflusso.
Una prima classificazione prettamente aeronautica è quella che li divide in venti al suolo e venti in quota.
I venti al suolo, misurati mediante anemometri, sono quelli che interessano le manovre di atterraggio e di decollo nonché le operazioni a terra in generale; a seconda dei casi assumono le seguenti denominazioni:
- Vento teso quando la velocità e la direzione sono praticamente costanti;
- Vento a raffiche quando la direzione si mantiene pressoché costante ma la velocità subisce variazioni positive di almeno 10 nodi e di durata inferiore ai 20 secondi, rispetto al valore medio riferito ad un periodo di almeno 10 minuti;
- Vento turbinoso quando la velocità e la direzione sono praticamente costanti;
- Vento di groppo quando ha notevole intensità, e sia la direzione sia la velocità presentano continue e rilevanti variazioni; il vento di groppo accompagna di solito il passaggio dci temporali.
I venti in quota sono quelli che influiscono sulla navigazione modificando principalmente la velocità al suolo e perciò i tempi di volo. I parametri dei venti in quota possono essere rilevati da terra o dagli aeromobili in volo.
I sistemi tradizionali di rilevazione da terra prevedono l’impiego di teodoliti con cui seguire la traiettoria di appositi palloni-pilota, oppure l’impiego del radar con cui seguire la traiettoria di appositi palloni-sonda.
I dati dei venti in quota possono essere calcolati con grande precisione (e trasmessi alle stazioni a terra del servizio meteorologico) dai computer degli FMS o dei ricevitori GPS degli aerei in volo. I quali non fanno altro che riverificare per decine di volte al secondo il famosissimo triangolo del vento, tenendo conto della prua necessaria per mantenere l’aereo sulla rotta desiderata e della differenza tra la velocità al suolo e la velocità all’aria.
Una classificazione più meteorologica dei venti consiste nel fare riferimento alla periodicità con cui interessano le varie zone della Terra, suddividendoli in venti costanti, periodici, e irregolari.
I venti costanti sono quelli che spirano tutto l’anno nella stessa direzione con lo stesso verso, generati da cause che perdurano tutto l’anno, come la depressione esistente all’equatore e l’alta pressione presente al di sopra dei tropici.
L’aria spinta in alto dalla convergenza equatoriale richiama costantemente aria a bassa quota dai tropici, e dà così origine agli alisei, che spirano per tutto l’anno da Nord-Est verso Sud-Ovest nel nostro emisfero e in senso opposto nell’emisfero sud. Contemporaneamente, l’aria che sale in quota sopra l’equatore si sposta verso i tropici in senso opposto al cammino seguito dagli alisei e genera i contralisei.
Lo stesso fenomeno si verifica nelle regioni polari, dove, nel nostro emisfero, spirano venti costanti da Nord-Est al suolo e da Sud-Ovest in quota.
I venti periodici sono quelli generati da moti convettivi che alternano il loro senso di circolazione appunto con una certa periodicità, la quale può essere giornaliera come nel caso delle brezze o stagionale come nel caso dei monsoni.
La brezza di mare e la brezza di terra, per esempio, sono innescate dalla vicinanza di due superfici di diversa capacità termica. Al mattino, dopo alcune ore di irraggiamento solare, la terra è molto più calda dell’acqua e l’aria che sovrasta le due superifici segue la stessa sorte. Perciò l’aria sovrastante la terra si innalza perchè più calda e richiama l’aria più fresca dal mare, dando origine alla brezza di mare.
Il fenomeno dura fino a sera e si inverte alcune ore dopo il tramonto, quando l’aria più calda è quella che sovrasta il mare. Essa allora si porta in quota richiamando aria dalla costa, dando così origine alla brezza di terra.
Lo stesso avviene per la brezza di monte e la brezza di valle. Durante il girono spira la brezza di valle, richiamata dai pendii più caldi, mentre durante le prime ore della sera spira la brezza di monte per l’inversione del fenomeno.
Lo stesso meccanismo, seppure su scala infinitamente maggiore e con periodicità stagionale anzichè giornaliera, è alla base della formazione dei monsoni.
Durante l’estate la depressione che si forma sull’Asia per il riscaldamento del continente richiama aria calda, umida, e instabile dall’oceano. Spinto in alto dal forte riscaldamento del suolo e dall’ incontro con il terreno che si eleva sempre più verso l’Himalaya, il Monsone estivo dà luogo a nuvolosità estesa, spesso a carattere temporalesco e a ingentissime precipitazioni.
Durante l’inverno l’aria fredda e secca del continente defluisce verso l’oceano: scendendo dall’Himalaya l’aria si scalda adiabaticamente e genera il clima secco del Monsone invernale.
I venti irregolari sono quelli che spirano in modo invariabile a seconda della disposizione che le zone di alta e bassa pressione vanno assumendo nel tempo e nello spazio. Si può dire che ogni angolo della terra abbia il suo particolare vento locale, che cambia nome da Paese a Paese, e a volte anche da città a città ma che è comunque sempre generato dalle stesse cause che ormai ben conosciamo.
Gli effetti dei rilievi
Ogni volta che un vento incontra un rilievo del terreno, l’aria, per superarlo, è costretta a scorrere lungo il pendio di sopravento e a salire finno alla sua sommità, per poi ridiscendere dalla parte opposta lungo il pendio di sottovento.
Come da figura, Durante il passaggio dell’ostacolo il deflusso della corrente d’aria subisce modificazioni rilevanti anche agli effetti del volo.
Lungo il pendio di sopravento si crea una corrente ascendente, chiamata anche corrente dinamica o di pendio, che i piloti posso sfruttare volando parallelamente al pendio per guadagnare quota mantenendo invariate la potenza e la velocità, oppure per guadagnare velocità mantenendo invariate la quota e la potenza, oppure per risparmiare carburante riducendo la potenza mentre vengono mantenute costanti la quota e la velocità.
Lungo il pendio di sottovento, per contro, si crea una corrente discendente che i piloti devono cercare in ogni modo di evitare, non solo perchè provoca perdita di quota, ma anche perchè è di solito motto turbolenta. La maggiore o minore intensità delta turbolenza è funzione dell’andamento del profilo del terreno: se il pendio è liscio e ha forma regolare, la turbolenza è lieve; se è molto scosceso e irregolare la turbolenza può raggiungere intensità pericolosissime.
Sulla cresta del rilievo la sezione del deflusso della corrente d’aria subisce uno strozzamento a causa del quale, per il principio di Bernoulli, il vento acquista velocità e fa perciò diminuire la pressione atmosferica.
Attraversando le catene montuose va perciò tenuto conto che l’altimetro può dare letture di quota maggiori del reale.
Lo Stau e il Fohen
Un fenomeno generato dall’incontro del vento con una catena montuosa, particolarmente interessante sia dal punto di vista meteorologico sia per gli effetti che può avere sul volo, è quello che nella regione dell’arco alpino va sotto il nome di Stau e Fohen.
II fenomeno si manifesta ogni volta che una massa d’aria piuttosto umida in movimento incontra una catena montuosa disposta perpendicolarmente al suo cammino.
Osservando la figura si supponga che rappresenti una sezione della catena alpina in un punto in cui è alta 3.000 metri, nel momento in cui viene investita da un vento umido da Nord avente la temperatura di 20° C.
Al suo contatto con la catena montuosa il vento è costretto a salire, e salendo si raffredda secondo il ben noto gradiente adiabatico secco di 1° ogni 100 metri.
Ipotizzando che la temperatura di rugiada sia di lO° C, una volta che l’aria raggiunge la quota di 1000 metri, l’umidità in essa contenuta comincia a condensare dando luogo alla formazione di nubi, e quindi a precipitazioni.
L’insieme della corrente ascendente, delle nubi e delle precipitazioni costituisce lo Stau.
Dal momento in cui inizia la condensazione, l’aria riceve il calore latente cedutole dall’acqua nel suo passaggio dallo stato aeriforme allo stato liquido, ragione per cui, durante il resto della salita, il raffreddamento continua secondo il gradiente adiabatico saturo, minore di quello secco.
Nel nostro esempio si ipotizza un gradiente di soli O,5° ogni 1OO metri, per cui l’aria giunge alla cresta della montagna alla temperatura di O°.
Appena superata la cresta il vento comincia a scendere, ormai privo della maggior parte della sua umidità che si è scaricata sul versante sopravento. Scendendo in regime adiabatico secco l’aria si scalda di 1° ogni 100 metri e giunge a
valle con un guadagno di temperatura di 10° rispetto a quando ha cominciato a salire dalla stessa quota sull’altro versante della montagna.
Questo vento di caduta caldo e secco che rende il cielo terso è il Fohen ( dal latino “Favonius”), dal quale ha preso il nome l’asciugacapelli elettrico, appunto in quanto genera aria calda e secca.
Il Fohen scende in genere dalla montagna con velocità elevatissima, che provoca lungo il pendio di sottovento correnti discendenti e vortici turbolenti di violenza a volte impressionante.
Coloro che intendessero attraversare la catena montuosa quando il fenomeno è in corso, devono far quota lontano dal versante sottovento, e tener conto che sul versante sopravento incontreranno tempo perturbato.
Come già detto, il fenomeno di Stan e di Fohen si riproduce ogni volta che una massa d’aria sufficientemente umida investe perpendicolarmente una catena montuosa, solo che il vento caldo di caduta, o vento catabatico, prende nomi diversi da luogo a luogo; per esempio, quello che scende a est delle Montagne Rocciose si chiama Chinook.
L’onda stazionaria
L’incontro di un vento di notevole velocità con una catena montuosa disposta perpendicolarmente al suo cammino può dar luogo al fenomeno dell’onda orografica o stazionaria, analogo a quello che si rileva in un corso d’acqua quando la corrente supera un ostacolo sommerso: l’acqua scorre lungo un’onda che rimane ferma.
L`onda orografica può rappresentare un notevole pericolo a causa delle forti turbolenze e delle correnti discendenti.
Quando le condizioni sono favorevoli al verificarsi del fenomeno, la turbolenza si incontra sul versante sottovento della montagna, e si può estendere fino agli strati inferiori della stratosfera per una distanza che spesso supera le 150 miglia dalla catena montuosa che l’ha generata.
II fenomeno d’onda e quindi pericoloso anche per i piloti degli aerei a turbina, dato che vicino alla tropopausa la turbolenza raggiunge spesso la massima intensità.
Affinchè il fenomeno d’onda si manifesti devono verificarsi le seguenti condizioni:
- uno strato d’aria stabile che giace sopra lo spartiacque di una catena montuosa;
- un vento che spira grosso modo ortogonalmente alla catena montuosa con velocita di almeno 25 nodi alla quota dello spartiacque;
- vento forte e teso alle quote superiori, la cui velocità aumenta con la quota fino alla tropopausa.
Lo strato d’aria stabile sopra la montagna forma una barriera per le correnti che provengono dal basso, e non permette loro di salire, ragione per cui il vento, che è costretto a risalire il versante della catena montuosa, viene compresso tra lo spartiacque e lo strato d’aria stabile che lo sovrasta.
Una volta superato l’ostacolo il vento comincia a scendere con irruenza lungo il versante opposto, verso la quota alla quale si trovava prima di essere costretto a salire dall’incontro con la montagna.
Grazie all’inerzia dovuta all’alta velocità di caduta, il vento si porta più in basso del suo livello di equilibrio, ragione per cui, ad un certo punto, ricomincia a salire creando così il primo picco negativo dell’onda.
Proseguendo il suo cammino, il vento forma un certo numero di creste d’onda di ampiezza via via decrescente finchè il fenomeno si esaurisce.
Quando l’aria contiene sufficiente umidità, un fenomeno d’onda in atto è facilmente visibile per la presenza di tre tipi di nube a esso generalmente associati: gli altocumuli lenticolari ( o semplicemente nubi lenticolari), i rotori e la nube che incappuccia la montagna.
Le nubi lenticolari si formano sulle cuspidi dell’onda quando il raffreddamento indotto dalla salita è sufficiente per abbassare la temperatura dell’aria al valore di rugiada, e quindi per causare la condensazione dell’umidità in essa presente.
Se le nubi lenticolari hanno i contorni dall’apparenza liscia, volando nelle loro vicinanze non si trova turbolenza, ma si incontrano solo la forte discendenza o la forte ascendenza connesse al moto dell’onda.
Quando invece i contorni delle nubi lenticolari sono frastagliati, è segno che tutto il sistema ondulatorio sta diventando instabile, e ci si deve aspettare di incontrare turbolenza anche molto intensa.
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